La ragazza di Kandahar

Le mani dipinte di henné e il vestito lungo, sui capelli un foulard scuro che incornicia il volto bruciato dal sole.
You look like an afghan girl.
Anche se le mie vecchie Doctor Martins e i leggins mi tradiscono.
Really, you look like a girl of Kandahar.
Kandaharini.
Non ho idee di come siano fatte le donne di Kandahar, ma l’affermazione mi rende in qualche modo orgogliosa.
You don’t have an afghan name?!
No, ma mi piace Zohora, come il sole, aftaab.
D’altra parte un nome non si decide, si riceve. E infatti il mio "battezzatore" non ne è convinto.
Aisha. It’s better: you will be Aisha. From Kandahar.
Anche Pietro e Anaël vengono rinominati: Petrol (come il diesel…quanto li fa ridere ‘sta cosa!) e Alex (???).
I miei due amici clowns si confondono altrettanto bene tra la folla di ragazzini afghani. Entrambi hanno ricevuto il loro primo "peron tombon", il vestito tipico degli uomini (camicia-tunica sopra il ginocchio e pantalone ampio). Petrol ha scelto un sabbia luminoso, mentre Alex sfoggia un completo blu scuro.
La barba di Pietro fa un po’ Al Qaeda (e infatti la guardia di Aschiana lo chiama così), mentre Anaël si è guadagnato il soprannome di Panshiri grazie al patol portato di traverso, simbolo di Massoud.
In ogni caso, tutti sono concordi nell’affermare che abbiamo tre facce da afghani e la cosa rende tutti (noi e loro) molto felici.

Da parte nostra noi di facce ne incontriamo tante, ogni giorno. Sono volti sorprendenti che raccontano un paese dalle radici profonde e variegate.
Moltissimi hanno occhi azzurri o verdi, altri sembrano cinesi o indiani. Alcuni addirittura sudamericani.
Gli uomini portano peron tombon di colori sobri, spesso abbinati a vestiti occidentali: una giacca o un gilet, delle scarpe da ginnastica.
Molte delle donne che ho incontrato finora hanno le mani rugose, persino le bambine; mani che lavorano, che si usano. Mi piace stringerle, sono calde di verità.
Ognuna porta il velo a modo suo, avvolto intorno al corpo, fermato con degli spilli sulle tempie o ancora morbido che lascia scappare sulla fronte ciocche di capelli.
Alcune optano più semplicemente per un burka blu, così non devono neanche starci a pensare.
Io cerco il più possibile il sole, mentre loro proteggono le loro pelli pallide: essere chiare è simbolo di bellezza per le afghane.

Alla fine il mio compleanno l’ho festeggiato!
Le ragazzine di Aschiana mi hanno fatto addirittura dei regali! E sono stata sottoposta ad un’intensa sessione di henna.
Tutti vogliono regalarci qualcosa, darci prova della loro felicità per il nostro essere qui, mostrarci le meraviglie dell’Afghanistan.
Oggi una bimba di un IDP camp ha voluto imboccarmi, ho dovuto far valere il mio ruolo di teacher per obbligarla a mangiare piuttosto che dar da mangiare a me.

Abbiamo passato un’altra giornata a Mobile Circus, in compagnia di un gruppo di acrobati di Jalalabad. A fine giornata, come sempre, sessione d’acrobatica. Il prof di Jalalabad è un gigante buono (che a prima vista fa in effetti un po’ di paura..). È perentorio quando mi ordina di incatenare quattro flics e quindi li faccio e sono felice come una bambina.
Il resto è come d’abitudine: Pietro improvvisa concerti e corali da una parte, mentre Anaël scambia tricks con i giovani acrobati.

Il cielo limpidissimo è pieno di aquiloni e comincia a far buio quando Farhad ci riporta a casa.
Guardo le mie mani coperte di disegni.
"Così adesso per due o tre settimane non ti dimentichi"…
Ma come? Come posso dimenticare anche solo un istante di questa vita a Kabul?

Sinceramente io,
Aisha